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Maometto è nel tuo network

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Se non fosse scomparso da poco,  chissà che ne avrebbe pensato Huntington di quel che è successo ieri su BoingBoing.
Poche ore dopo che Cory Doctorow aveva postato sul sito da lui creato e gestito, una guida per cybersabotare le elezioni in Iran, tutti i contenuti di BoingBoing sono diventati invisibili ai visitatori.
Immediatamente, data la coincidenza dei tempi, a BoingBoing hanno collegato l’accaduto a quel post; tanto che un loro responsabile ha brigato di informare  i lettori che con ogni probabilità si trattava di una contro-cyberwar dichiarata da hackers iraniani (ne esistono? ma davvero?!) ai danni del loro host; il tutto ostentando una calma olimpica e un “massì noi la prendiamo con ironia e superiorità” ancor più infastidenti. La faccenda è montata per qualche ora finchè non è stato appurato che si trattava semplicemente di un errore compiuto da qualche inesperto redattore nativo americano alle prese col CMS di BoingBoing.
Insomma tanto rumore per nulla, un po’ di pregiudizi per tutti e una caduta di stile per un blog che finora aveva un brand d’ eccellenza.

KANYE WEBST

kanye-webster

Una volta su myspace ho visto Jesus tra i friends di Maometto. Ho subito pensato: ma è stupendo, questo metterà fine a secoli di inutili conflitti religiosi!! Immaginate la mia delusione quando ho scoperto che non erano davvero J&M ma degli stupidi nerds che si spacciavano per loro. Pedaggi della celebrità. Comunque nè Jesus nè Maometto se la sono presa troppo.  Ora su Twitter  c’è Kanye West. Anzi ce ne sono diversi. Ma nessuno di loro è il vero Kanye West. Anche qui: pedaggi della celebrità. Kanye si sarà fatto una bella risata e finita lì, giusto? Serafico come J&M. Eh no, le sedici province occupate dal suo ego hanno tutte tenuto a precisare che: NO, LUI NON HA UN FOTTUTO TWITTER (l’ego scrive perennemente in AllCaps ..). Twitter lui? Scherziamo? Lui è cazzo!Kany West!cazzo! ed è too much stronger per tutti quei fottuti haters là fuori che non gli showano some del loro love e creano i fakes su TWTR. Ovviamente una reazione così spropositata – nota anche come sindrome Prince – lo ha catapultato istantaneamente all’apice del mavalàscemo. Con risultati tipo questo.

Vodpod videos no longer available.

Scappare o twtrare?

Lui non ha avuto dubbi.

planecrash

Mike Wilson era a bordo di un aereo caduto nei paraggi di Denver pochi giorni prima di Natale. Tutti salvi.
Dopo essersi accertato di essere ancora intero ha scritto questo tweet che l’ha reso una semi-celebrity del social network.
Se si guarda il bicchiere “mezzo pieno”, direi che è una buona conferma delle tesi sostenute in questo articolo.
A guardare il “mezzo vuoto”, viceversa, nessuno è più bravo di lui.

Tardi is good, but prima is better

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L’antitrust americana si pone le prime timide domande se non sia magari il caso di andare a farsi un po’ i fatti di Google ogni tanto. Va bene che è un’azienda così carina e brillante e con dei principi così stimolanti e che a pensar male si fa peccato, però va anche messo sulla bilancia l’enorme peso economico e politico che ormai innegabilmente possiede. Non si tratta solo del semi-monopolio nell’ambito dei motori di ricerca che, come scrivevo qualche giorno fa, potrebbe anche essere parzialmente messo in discussione; è l’intero business model della grande G ad essere così ambizioso, aggressivo e creativo da destare preoccupazioni.
Business per business, dovunque entri, Google spazza via i competitors come ramoscelli in ragione di un budget decisamente superiore e di una visione strategica che non si preclude nulla. Quando Sergey Bryn ha annunciato che era nelle intenzioni di Google digitalizzare l’intero archivio bibliotecario americano, in molti l’hanno presa come un boutade. Adesso però non ride più nessuno. Con tempistiche impensabili per qualunque altra azienda, la G ha concluso, spendendo milioni come bruscoli, un accordo con autori ed editori per ottenere i diritti alla copia digitale di tutti i libri, spuntando oltretutto condizioni totalmente favorevoli al termine di una class action globale che gli è stata mossa contro.  Ed è proprio a proposito di questo concordato che  l’Antitrust ha deciso di intervenire, per verificare se Google possa equamente agire in un simile regime di monopolio.

Parte del problema verte sul fatto che, in molti casi, Google si troverebbe ad acquisire per sempre i diritti su numerose pubblicazioni (molte delle quali non vengono più stampate) semplicemente perchè nessuno li ha mai rivendicati ( qui il modulo per farlo dall’Italia). Google che sa difendersi bene sul piano legale, si autoassolve anche dal punto di vista etico/politico sostenendo l’implicito background filantropico dell’intera operazione. Sarà anche così, ma ora che può mettere a disposizione 7 milioni di volumi scansiti e digitalizzati (…e siamo solo all’inizio di questa Borgesiana impresa) a MountView vedranno implementare ulteriormente la loro influenza culturale, il loro controllo su un archivio che ora non è più soltanto fatto di patrimoni contemporaneii, nonchè il volume dei ricavati derivanti sia dai profitti pubblicitari che dalla messa in vendita delle licenze per le opere complete. Insomma, se Google si mette anche a fare la libreria sotto casa viene da chiedersi se il passo successivo non sia il pane digitale.

Il tutto viene discusso mentre, a quanto scrive il New York Times, la Casa Bianca avrebbe deciso di stringere la presa intorno ai sospetti di monopolio. Sembra comunque abbastanza improbabile che Obama si metta a fare la guerra a chi l’ha apertamente sostenuto e riccamente finanziato durante la sua campagna. Specie dopo averne accolto il chairman nel suo staff.

In questo clima, se anche Google ne dovesse infine uscire indenne, le ispezioni aprono un precedente che da una porticina potrebbe diventare un portone. A Google lo sanno, e infatti ci hanno sprecato qualche riga di belle parole. Il fatto è che gli scheletri negli armadi ci sono, e sono anche belli ingombranti. Sarebbe infatti  interessante sapere ancora più approfonditamente se è fair, per un azienda che offre software-as-a-service (GoogleDocs) che hanno le caratteristiche per obsoletare l’intero pacchetto Office, avere un CEO che siede nel consiglio di amministrazione di Apple, una posizione da cui può far fuoco incrociato su Microsoft.

Concludendo, caso Shmidt a parte, bisogna comunque ammettere che, allo stato attuale delle cose, è difficile stabilire dove e quando Google agisca con coscienza da monopolista e dove semplicemente operi come quella realtà imprenditorialmente e creativamente troppo superiore alla media che di fatto è. Certamente quando Google comprò youtube,  pagandolo quasi equamente, fu difficile non sostenere che in qualche modo si stava muovendo per aumentare la sua centralità nella rete, ma appunto l’offerta era equa, e i due servizi non sembravano in concorrenza tra loro, anche se, andando a guardare più da vicino, di fatto lo erano. Qualcosa di simile sta succedendo ora con Twitter che Google vorrebbe acquisire a tutti i costi. Per ora le parti non si sono ancora accordate, ma se dovesse succedere non sarebbe un buon segnale, perchè, a differenza del caso youtube, in cui le ambiguità erano maggiori, Twitter è ormai più o meno manifestamente un competitor di Google. Se dovesse essere “mangiato”, intervento dell’antitrust o meno, sarebbe importante se si iniziassero a vedere le prime alzate di sopracciglia ed i primi atteggiamenti di perplessità da parte dell’opinione pubblico. Che quelli di Google, sono bravi, belli e buoni, ma il monopolio a cui attentano non gli può essere concesso tanto alla leggera. Meglio accorgersene prima che poi.

La rete è mobile

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Ieri sul blog ufficiale di Google è stata pubblicata la lettera che Sergey Brin indirizza ogni anno agli investitori. Oltre a parlare dei progetti futuri ha ricapitolato i passi fatti da Google e dalla rete in generale, dalla prima pagina ad oggi.  Ovviamente non ha mai citato Yahoo!, come è naturale , trattandosi pur sempre di un competitor ancora attiuvo. Eppure Yahoo! è a buon diritto un pezzo della storia di internet.
Dieci anni fa, si può dire che Yahoo! fosse internet, quasi quanto lo è oggi Google. Si trovava in una posizione di tale privilegio che nessuno o quasi avrebbe scommesso un centesimo sulla possibilità che qualche concorrente lo detronizzasse, così come nessuno scommeterebbe nulla contro Google in questo momento. Eppure proprio la facilità con cui Google, che all’epoca era Davide, fece bocconi nel giro di un paio d’anni di Golia/Yahoo!, dimostra come l’evoluzione della rete sia imprevedibile. E’ sufficiente che all’utenza si chiarsica il modello di utilizzo di un’applicazione per rimettere tutto in discussione.

twitter

E’ ciò che sta accadendo in questi giorni con Twitter, di cui avrete certamente sentito parlare, visto tutto il gossip che lo circonda in queste settimane. Da come lo trattano i giornali italiani e non solo, Twitter sembra un servizio popolato da sole celebrities che raccontano minuto per minuto i cazzi loro ad una selva di guardoni.  Ma è sufficiente osservarlo meglio, ovvero utilizzarlo, per rendersi conto della profondità dello strumento. E’ paradossale, perchè paragonato a Facebook l’altro socialwhat? di tendenza, Twitter ha un interfaccia ed una usability molto più asciutta ed essenziale, eppure potrebbe rivelarsi – misteri della rete – un servizio infinitamente più utile ed “ampio” di FB. Tanto da poter arrivare a minacciare l’egemonia di Google. Perchè mai un servizio di microblogging dovrebbe minacciare un motore di ricerca? Perchè è a sua volta un motore di ricerca. Twitter search infatti, è in grado di ricercare, in tempo reale e con un aggiornamento costante, parole chiave all’interno di tutta la messagistica lasciata dai suoi milioni di utenti. Siccome molti di questi utenti aggiungono links ai loro messaggi (al cui interno Twitter sarà in grado, a breve, di ricercare), capite che non si tratta semplicemente di leggere le 140 pigiate di tasto di sconosciuti che fanno freddure, ma si ha davvero una porta sul web estremamente aggiornata e valorizzata su ciò di cui, in tempo reale, sta parlando il mondo (oppure affinando la ricerca con le funzioni advance, semplicemente i twitter della vosta citta) in quel momento, con aggiornamenti continui ed intensificazioni dei risultati ogni volta che un utente retweetta la parola che state cercando. Proprio perchè TwitterSearch, non è basato su un freddo algoritmo ma sulla collaborazione spontanea degli utenti, che aggiornano il database in continuazione, semplicemente facendo uso del servizio. Non è un caso che il motto di questo search engine sia See What’S Happening – Right Now -. La differenza con Google è enorme. In termini di capacità di offrire informazioni aggiornate –ad ora– Twitter ha già superato Google (senza contare le funzioni Social per cui è nato ed è apprezzato,  implementate da un inattesso valore di Feed e Bookmarking). Quello che ancora non ha e forse non potrà mai avere è la forza e la completezza che offre il gigante di Mountain View, è probabile che il suo destino sia quello di diventare un motore complementare adatto ad alcuni usi e non ad altri. Ma non è detto che, una volta capitene pienamente le possibilità, l’utenza non lo premi su tutta la linea.

Il web è di Lutero

martin-luther1jpegNon è semplice spiegare quanto internet stia profondamente cambiando, e quanto ancora in futuro cambierà, sia al suo interno sia il suo esterno, a chi ne fa e ne ha sempre fatto un uso sporadico. Conscio di questa difficoltà, ieri, ho tentato comunque di chiarire ad un mio amico, giornalista di cronaca e di locale su un noto quotidiano milanese, quali sono i rischi e le opportunità che questo strumento offre all’informazione.
Chi, non utilizzando quasi mai la rete, pensa ancora al web come ad un luogo popolato da siti statici, dalla funzione poco chiara, fa generalmente fatica a capire, anche solo a grandi linee, la vastità del fenomeno del cosidetto web 2.0 ed il concetto di utente come content generator.
Visto dai media tradizionali, internet 2.0 ha una pecca fondamentale quando offre informazioni, mancano gli autori, mancano i setacciatori di notizie, manca un epicentro da cui si diffondono i contenuti. Per le logiche dei media tradizionali, una notizia va trovata e gestita, non si produce ed alimenta da sè. E’ vero, ha sempre funzionato così. Ma internet è differente, è sempre di più un mediamondo, costitutivamente fatto di informazioni, a tutti i livelli, di cui ogni utente è produttore/consumatore in un ciclo continuo di scambi. E’ chiaro che per alcune tipologie di notizie, un delitto passionale in periferia ad esempio, la rete non è ancora in grado di offrire una copertura adeguata, ed è necessaria la presenza di una figura giornalistica che fisicamente estragga l’informazione. Ma non è detto che un delitto passionale sarà ancora considerato una notizia in futuro. Internet sta spostando gli assets dell’interesse mediatico su notizie sempre più globali o, viceversa, culturalmente di nicchia. Le vicende che per decenni hanno alimentato il concetto di cronaca locale potrebbero anche uscire dalla mappa di ciò che si considera informazioni. In futuro un delitto passionale potrebbe essere notificato dalla rete nella misura in cui un vicino di casa ne scrive sul proprio blog. Un fatto privato che coinvolge ed interessa un ristretto numero di persone, com’è nella sua natura del resto.
Per un occhio tradizionalista, la mancanza di un autore, di un centro di coordinamento, comporta una perdita di verificabilità/verità delle notizie, uno scadimento dell’informazione a livello dell’opinione.  Scadimento? E sulla base di quale pregiudizio? Le opinioni sono fatte per essere espresse e lette. Dal rapporto critico con l’enorme massa di opinioni che offre la rete, ogni singolo utente che vi partecipa può estrarre informazione o altre opinioni, che andranno ad aggiornare quelle già presenti.foucault Se in luogo di ricevere informazione tramite una mediazione autorevole, posso entrare in contatto diretto, ad un pari livello, con un numero potenzialmente infinito di fonti e sintetizzarne una mia, dov’è lo scadimento? Perchè affidarmi ad un intermediario tra me e il verbo, quando posso avere una copia della bibbia in casa, si chiedeva Lutero. Il rapporto tra Web e vecchi media mette in gioco, all’incirca, la stessa domanda. In internet non ti si imbocca una verità, ti si dà la possibilità di collaborare a produrla in tempo reale, in attesa che cambi dopo un secondo per via dell’aggiunta di nuovi punti di vista. La verità in internet assomiglia a una curva statistica in (e/o del) divenire. Osservare come funziona la modalità di aggiornamento istantaneo di Twitter Search in tal senso è un’ esperienza istruttiva, così come osservare le charts di Google. In internet il vero si fa compiutamente statistico, sorta di culmine di quel progetto culturale dell’Occidente che Foucault analizzava nelle sue ontologie dell’attualità. Non è probabilmente un caso, infine, che in molti scritti, Foucault associ l’emergere del principio statistico al protestantesimo (come già Weber prima di lui) ovvero la forma di cristianesimo che ha per prima iniziato a disabituarsi al concetto di autore come mediatore, accettando rischi e ricchezze dell’ipertestualità.

La tua vicina ha l’influenza suina

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Se siete preoccupati di non essere abbastanza preoccupati ed avvertite il bisogno di gettarvi nell’isteria da influenza suina, quale miglior modo che seguirla passo-passo fino alla porta di casa vostra?
Altrimenti potete tenervi aggiornati col twitter del CDC, o mandare una e-card ad amici e parenti per ricordargli che l’igiene previene.

File Under: ulteriori indizi per nuove angoscianti somiglianze tra il 2009 ed un qualsiasi b-movie futuristico di inizio ’90.


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