Con questo videogioco Michael Jackson mi ha fatto conoscere i primi impulsi consumistici.
Davvero lo volevo tantissimo, tutti i bambini grasssocci e benestanti della mia pretenziosissima (e pretosissima) scuola elementare si passavano questa cassettina prestandosela a turno o andando a giocarci uno a casa dell’altro: un meccanismo da cui ero tagliato fuori in quanto, come si dice, abitavo fuori. Nel frattempo – con il passare di pomeriggi a base di toast, succhi di frutta alla pesca e sessioni di videogiochi a cui io non potevo essere presente – la custodia si faceva sempre più usurata e sempre più fogli di trucchi si costipavano al suo interno: io la osservavo passare per mani che non erano mai le mie e mi sembrava la cosa più figa, esclusiva, inarrivabile e attraente del mondo.
Poi un giorno Michele V., uno che – non ricordo più perchè – aveva ben due copie di Moonwalker mi invitò da lui per il pomeriggio: una casa grande dove, in mezzo a troppo marmo nero, ebbi la prima delusione: non ci portarono nè il toast nè il succo di frutta, solo salatini.
Ma a questa prima delusione ne seguì un’altra: e quella fu la vera mazzata. Io, settenne emozionato come non lo sarei stato nemmeno nel momento del mio primo bacio, con le mani sudaticcie che fremevano nell’attesa di vedere apparire la scritta Moonwalker e di poter finalmente varcare con piena soddisfazione le porte del circolo degli adepti di quella memorabilia del divertimento iperumano scoprii che tutta le magie che ritenevo imprigionate dentro quello custodia si potevano, allora come ora, riassumere con le parole:
mattonelle rosse.
Poi non ho più seguito Michael Jackson.