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Tardi is good, but prima is better

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L’antitrust americana si pone le prime timide domande se non sia magari il caso di andare a farsi un po’ i fatti di Google ogni tanto. Va bene che è un’azienda così carina e brillante e con dei principi così stimolanti e che a pensar male si fa peccato, però va anche messo sulla bilancia l’enorme peso economico e politico che ormai innegabilmente possiede. Non si tratta solo del semi-monopolio nell’ambito dei motori di ricerca che, come scrivevo qualche giorno fa, potrebbe anche essere parzialmente messo in discussione; è l’intero business model della grande G ad essere così ambizioso, aggressivo e creativo da destare preoccupazioni.
Business per business, dovunque entri, Google spazza via i competitors come ramoscelli in ragione di un budget decisamente superiore e di una visione strategica che non si preclude nulla. Quando Sergey Bryn ha annunciato che era nelle intenzioni di Google digitalizzare l’intero archivio bibliotecario americano, in molti l’hanno presa come un boutade. Adesso però non ride più nessuno. Con tempistiche impensabili per qualunque altra azienda, la G ha concluso, spendendo milioni come bruscoli, un accordo con autori ed editori per ottenere i diritti alla copia digitale di tutti i libri, spuntando oltretutto condizioni totalmente favorevoli al termine di una class action globale che gli è stata mossa contro.  Ed è proprio a proposito di questo concordato che  l’Antitrust ha deciso di intervenire, per verificare se Google possa equamente agire in un simile regime di monopolio.

Parte del problema verte sul fatto che, in molti casi, Google si troverebbe ad acquisire per sempre i diritti su numerose pubblicazioni (molte delle quali non vengono più stampate) semplicemente perchè nessuno li ha mai rivendicati ( qui il modulo per farlo dall’Italia). Google che sa difendersi bene sul piano legale, si autoassolve anche dal punto di vista etico/politico sostenendo l’implicito background filantropico dell’intera operazione. Sarà anche così, ma ora che può mettere a disposizione 7 milioni di volumi scansiti e digitalizzati (…e siamo solo all’inizio di questa Borgesiana impresa) a MountView vedranno implementare ulteriormente la loro influenza culturale, il loro controllo su un archivio che ora non è più soltanto fatto di patrimoni contemporaneii, nonchè il volume dei ricavati derivanti sia dai profitti pubblicitari che dalla messa in vendita delle licenze per le opere complete. Insomma, se Google si mette anche a fare la libreria sotto casa viene da chiedersi se il passo successivo non sia il pane digitale.

Il tutto viene discusso mentre, a quanto scrive il New York Times, la Casa Bianca avrebbe deciso di stringere la presa intorno ai sospetti di monopolio. Sembra comunque abbastanza improbabile che Obama si metta a fare la guerra a chi l’ha apertamente sostenuto e riccamente finanziato durante la sua campagna. Specie dopo averne accolto il chairman nel suo staff.

In questo clima, se anche Google ne dovesse infine uscire indenne, le ispezioni aprono un precedente che da una porticina potrebbe diventare un portone. A Google lo sanno, e infatti ci hanno sprecato qualche riga di belle parole. Il fatto è che gli scheletri negli armadi ci sono, e sono anche belli ingombranti. Sarebbe infatti  interessante sapere ancora più approfonditamente se è fair, per un azienda che offre software-as-a-service (GoogleDocs) che hanno le caratteristiche per obsoletare l’intero pacchetto Office, avere un CEO che siede nel consiglio di amministrazione di Apple, una posizione da cui può far fuoco incrociato su Microsoft.

Concludendo, caso Shmidt a parte, bisogna comunque ammettere che, allo stato attuale delle cose, è difficile stabilire dove e quando Google agisca con coscienza da monopolista e dove semplicemente operi come quella realtà imprenditorialmente e creativamente troppo superiore alla media che di fatto è. Certamente quando Google comprò youtube,  pagandolo quasi equamente, fu difficile non sostenere che in qualche modo si stava muovendo per aumentare la sua centralità nella rete, ma appunto l’offerta era equa, e i due servizi non sembravano in concorrenza tra loro, anche se, andando a guardare più da vicino, di fatto lo erano. Qualcosa di simile sta succedendo ora con Twitter che Google vorrebbe acquisire a tutti i costi. Per ora le parti non si sono ancora accordate, ma se dovesse succedere non sarebbe un buon segnale, perchè, a differenza del caso youtube, in cui le ambiguità erano maggiori, Twitter è ormai più o meno manifestamente un competitor di Google. Se dovesse essere “mangiato”, intervento dell’antitrust o meno, sarebbe importante se si iniziassero a vedere le prime alzate di sopracciglia ed i primi atteggiamenti di perplessità da parte dell’opinione pubblico. Che quelli di Google, sono bravi, belli e buoni, ma il monopolio a cui attentano non gli può essere concesso tanto alla leggera. Meglio accorgersene prima che poi.


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